CRISTIANO CREMONINI
Giovedì 17 novembre 2022 – Agorà pag. 22
«Cercare di portare l’opera più vicino al cuore odierno degli spettatori, affinché continui ad essere specchio di qualcosa, in stretta connessione con il tempo presente». Ecco l’obiettivo principale che si è prefissato Luigi De Angelis, regista belga-italiano fondatore della pluripremiata bottega d’arte Fanny e Alexander (giunta al suo trentesimo anno di attività) curando il nuovo allestimento del Lohengrin in scena al Teatro Comunale di Bologna fino al 20 novembre, a centocinquantun’anni dall’approdo della musica di Richard Wagner in suolo italico grazie alla città dotta.
Per fare questo, in un’opera che è commistione magistrale e continua fra due mondi: realistico-storico intrecciato a sogno e mito (che sono anche peculiarità della sfera compositiva del cigno di Lipsia), De Angelis ha scelto di farvi letteralmente partecipare l’uomo Wagner, impersonato con grazia dall’attore Andrea Argentieri (Premio Ubu 2019) come demiurgo e testimone dell’intera vicenda.
Importanti spunti sono stati tratti dal volume “Il processo in musica nel Lohengrin di Richard Wagner” del civilista Alberto Tedoldi; il regista sottolinea l’ossessività del tema del giudizio in questo titolo, a cominciare dal primo atto, che si svolge nell’aula di un tribunale militare odierno (luogo della mente del compositore), i cui arredi si ispirano all’austera sala del processo di Norimberga. Lo sfondo invece, rappresenta una “finestra ideale” al di fuori del tempo narrativo, da cui si scorgono suggestive proiezioni di un bosco e di un ruscello immersi nella nebbia (girate nella foresta del Cansiglio in Friuli) a simboleggiare i luoghi dove Wagner concepì quest’opera leggendo il libro sulla saga di Lohengrin. Le singole pareti, lungo il corso di tutta l’opera, diventano vera e propria scena “emotiva” accogliendo raffinati giochi cromatici in stretta connessione con la musica.
Punto di forza di questa produzione è lo stretto e proficuo dialogo (cosa non sempre scontata) instauratosi fra regia e direzione musicale, affidata all’esperta bacchetta di Asher Fisch, Direttore principale della West Australian Symphony Orchestra di Perth e dell’Opera di Seattle. Il maestro israeliano, qui impegnato pochi mesi fa nell’Otello verdiano, è al suo esordio wagneriano in città, ma non in Italia, di cui elogia le orchestre per questo tipo di repertorio, ed in particolare la trasparenza del suono degli archi, difficile a trovarsi in Germania.
Eccellente la prestazione della compagine orchestrale bolognese. Bene il cast del 15 novembre, a cominciare dal Telramund nobile e deciso di Lucio Gallo, la vigorosa Elsa di Anna-Louise Cole, Albert Dohmen, autorevole Enrico l’Uccellatore e Anna Maria Chiuri, intrigante Ortrud. Non sempre a fuoco, soprattutto nel terzo atto, la voce di Daniel Kirch (Lohengrin). Ma a farla da padrone in quest’opera, si sa, è il coro, e quello del Comunale, affiancato da una trentina di artisti del Teatro Accademico Nazionale dell’Opera e balletto ucraino “Taras Shevchenko” di Kiev, è semplicemente impeccabile. Un plauso a queste voci e alla preparatrice Gea Garatti Ansini.
È con questo emblematico suo titolo (penultimo della stagione 2022) che Bologna saluta la settecentesca Sala Bibiena che per l’occasione era gremita di studenti universitari, grazie ai biglietti speciali riservati ai giovani appassionati del bel canto (prezzo d’ingresso a 10 euro). Al termine di questa produzione, infatti, l’intera struttura chiuderà temporaneamente per essere riqualificata, ma è già pronto il trasferimento al Teatro Europa Auditorium per i mesi di dicembre e gennaio, quindi al Comunale Nouveau, presso il polo fieristico di Bologna. Arrivederci a presto, glorioso Comunale!